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9 maggio, 2019

La gestione dei rifiuti ha un incredibile potenziale, ma c'è bisogno di più impianti

È stato recentemente diffuso il rapporto Recupero energetico dei rifiuti in Italia da parte di Utilitalia (associazione ombrello per le imprese dei servizi pubblici) che prende una posizione netta nei confronti della necessità del nostro Paese di dotarsi di nuovi impianti per sopperire alla saturazione di quelli al momento operativi.

Ci troviamo in una situazione già emergenziale per la quale il numero di impianti non è sufficiente né a smaltire l'incredibile mole di materiali in eccesso né ad adempiere all'obbligo europeo di riduzione del collocamento nelle discariche, impegno che ci chiama a ridurre questa quantità dall'attuale 23% al futuro 10% del 2035.

Secondo il sopracitato report, infatti, grazie al lavoro di 180 impianti inceneritori e di digestione anaerobica della frazione organica degli scarti e dei fanghi da depurazione nel corso del 2017 siamo riusciti a produrre 7,6 milioni di MWh, una quantità tale da fornire supporto energetico a 2,8 milioni di famiglie.

Ad aggravare ulteriormente la situazione, poi, vi è l'enorme problema geografico per il quale la maggioranza dei siti di termovalorizzazione di cui l'Italia dispone è collocata al nord, addirittura 24, mentre soltanto 7 sono presenti nel centro e solamente 6 in tutto il sud. In tutto il 2017, nello specifico, i termovalorizzatori hanno operato su 6,1 milioni di tonnellate di rifiuti, 5,3 milioni dei quali di provenienza urbana (con un leggero ridimensionamento rispetto all'anno precedente).

Se guardiamo agli impianti di digestione anaerobica la situazione è la stessa: 55 siti per lo smaltimento organico e 87 per i fanghi di depurazione, la maggior parte dei quali tutti collocati nel nord Italia[1].

Quello che sembra ancora sfuggirci è che la conversione dei rifiuti in risorsa energetica comporta innanzitutto l'allestimento di una rete di infrastrutture che aprono al recupero, alla trasformazione, stoccaggio e re-immissione nel ciclo di consumo di tutto ciò che scartiamo. Non solo, una sana e corretta strutturazione di tale processo fa sì che vengano istituiti anche organi di controllo trasparenti che informino e creino consapevolezza negli utilizzatori finali. Questi ultimi, infatti, riceverebbero una comunicazione neutra e equilibrata sul tema e verrebbero guidati verso prodotti e servizi sempre più ecologici nel medio-lungo termine.

In Italia la raccolta differenziata va molto bene, spinta da un’incisiva campagna di sensibilizzazione", dichiara Renato Boero, Coordinatore Commissione Impianti Utilitalia, durante la presentazione del suddetto report, "ma per trasformare i rifiuti in materia prima e seconda necessitiamo di più impianti. Le tecnologie attuali consentono la conversione di rifiuti organici e non organici in metano, biometano e compost di qualità. La termovalorizzazione è molto osteggiata in Italia: in realtà gl’inceneritori contribuiscono per meno dello 0,1% delle emissioni. C’è una sovraesposizione del problema”. Parole che sono state confermate anche dal vicepresidente dell'Associazione, Filippo Brandolini, che ha aggiunto come "questa forma di dibattito (ideologico) sia essenzialmente italiana. Non si tratta di una discussione tecnico-scientifica, ma sostanzialmente di politica. A livello d'informazione dovrebbe passare che gli impianti di termovalorizzazione non sono incompatibili con il riciclo".

Una possibile soluzione la detta Alessandro Bratti, direttore generale ISPRA, quando afferma che "non si tratta solo di un problema di comunicazione: occorre ricostruire un sistema di fiducia verso il mondo produttivo". Adducendo poi a tale sfiducia una serie di motivazioni: "ad esempio le procedure di controllo non sono adeguate alle richieste delle comunità. Le imprese devono essere le prime a promuovere trasparenza e credibilità, collaborare con gli Enti normativi come l’ISPRA per creare sistemi di controllo di qualità. Abbiamo necessità di comunicazione, informazione, capacità di incontrare le richieste del pubblico, ma anche di analizzare i costi del sistema recupero, così come quello della creazione di un mercato interno che permetta il flusso regolare delle merci riciclate”.

E' Antonello Ciotti, presidente di COREPLA, il consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica, a preoccuparsi della disposizione di possibili alternative all'investimento in termovalorizzazione o al conferimento in discarica per quanto riguarda la gestione del flusso dei rifiuti. "Rifiuti zero è un obiettivo cui tendere ma non attuabile attualmente; altrettanto la sostituzione di tutti i prodotti a base fossile con altri a base bio: per esempio le bioplastiche non sono biodegradabili in natura, hanno una permanenza simile a quella delle normali plastiche", è stato il suo intervento. "La sfida per l’industria è creare imballaggi che consentano ai prodotti, specie quelli alimentari, di essere a disposizione più a lungo e alla filiera del recupero di riciclarli sempre più efficientemente”.

La sfida è sicuramente industriale ed economica, ma si gioca soprattutto su un campo politico, ed è lo stesso Ciotti ad affermare che "se pensiamo che, ad esempio, il riciclo attuale di plastica si stanzia sulle 3-400 mila tonnellate annue, rispetto ai quasi 9 milioni di tonnellate prodotte, mentre l’Ue ci chiede di arrivare al 50% (quindi oltre 4 milioni di tonnellate) entro il 2025 capiamo che serve un impegno istituzionale fortissimo per fare sì che l’economia circolare non rimanga un semicerchio[2].

 La necessità è quindi di aprirsi ad un'innovazione controllata e responsabile che tenga conto della tutela e della salvaguardia dell'ambiente ma che, allo stesso tempo, si operi per risolvere una serie di esigenze che stanno divenendo sempre più emergenziali e che rischiano di vanificare quanto di buono, cittadini, aziende e istituzioni, stanno invece portando avanti.

Marco Sperandio