Arriva l'enzima mangia-plastica: una possibile soluzione per il problema dell'inquinamento dei mari
E' una notizia che sa di fantascienza quella che vede la scoperta di un enzima in grado, potenzialmente, di risolvere l'annoso e ormai improrogabile problema dell'inquinamento da plastica dei mari.
Lo studio è stato condotto da ricercatori della Portsmouth University e dal Laboratorio nazionale per le energie rinnovabili del Ministero dell’Energia statunitense. Il focus degli studi è stato concentrato su un batterio che era stato scoperto in Giappone nella città di Sakai nel 2016, l’Ideonella sakaiensis, in grado, letteralmente, di mangiare la plastica di tipo PET per produrre energia[1].
E’ sotto gli occhi di tutti la portata dell’emergenza dovuta dalla presenza rifiuti di origine plastica sia sulla coste che, soprattutto, nei mari e negli oceani (e, di conseguenza, anche nelle specie ittiche che finiscono sulle nostre tavole).
E' un dato quello che vede ogni km2 di acqua salata del mondo contenere circa 46.000 micro particelle di plastica in sospensione. Dai 4 ai 12 milioni di tonnellate di plastica, infatti, finiscono nei mari di tutto il mondo ogni anno, causando l’80% dell’inquinamento marino. Si tratta di rifiuti che per la quasi totalità arrivano al mare sospinti dal vento o trascinati dagli scarichi urbani e dai fiumi[2].
Uno studio apparso sui Proceedings of the National Academy of Sciences ci conferma che, purtroppo, viviamo in un periodo di preoccupante aumento della produzione e del consumo di plastica. In una delle zone più remote al mondo, l’isola di Henderson, nell’oceano Pacifico meridionale, è stata riscontrata la presenza di 37,7 milioni di residui di plastica equivalenti ad un peso totale di materiale inquinante di 17,6 tonnellate. Complice l’aumento dei consumi e, quindi, della produzione, il settore delle materie plastiche non ha subito battute d’arresto. Anzi, l’industria sta andando incontro a una nuova crescita, che mette inevitabilmente a repentaglio la salute del nostro pianeta.
Il problema non ci è lontano e riguarda anche le coste italiane: il WWF riporta uno studio del Consiglio Nazionale delle Ricerche apparso su Nature Scientific Reports, stimando che un km2 nei mari italiani contiene in superficie fino a 10 kg di plastica, soprattutto bottiglie e sacchetti. Il punto peggiore, secondo gli studiosi, consiste nel tratto tra la Corsica e la Toscana.
Il nostro Paese, che affaccia quasi totalmente sul Mediterraneo e che ha una popolazione costiera di oltre 33 milioni di persone, risulta essere il terzo Stato inquinatore in Europa, un dato in controtendenza con la percentuale di spazzatura riciclata che invece ci vede tra i paesi più virtuosi in Europa[3].
Fortunatamente sono già molte le aziende e le istituzioni a preoccuparsi del problema, e a sopperire a loro modo con una riduzione della produzione e degli scarti industriali, così come attraverso una massiccia campagna d'informazione per sensibilizzare le persone ad un consumo più attento e rispettabile.
Ma non può bastare la prevenzione, essendo ormai l'ambiente gravemente compromesso: ecco allora intervenire questa fantastica scoperta. La versione originale dell'enzima è naturalmente prodotta da un batterio ghiotto di plastica, l'Ideonella sakaiensis. Anche se il PET è in circolazione da soli 50 anni, infatti, questo materiale era già presente in natura, ad esempio, come rivestimento protettivo sulle foglie delle piante. I batteri hanno avuto milioni di anni a disposizione, per imparare a digerirlo.
“Il caso ha spesso un ruolo importante nella ricerca scientifica fondamentale, e la nostra ricerca non fa eccezione”, ha dichiarato John McGeehan, docente di Scienze biologiche a Portsmouth. “Nonostante il progresso sia modesto, questa scoperta inattesa suggerisce che ci sia margine per migliorare questi enzimi, per avvicinarci a una soluzione di riciclaggio per la montagna in costante crescita di plastiche abbandonate”[4], ha poi proseguito, suggerendo un probabile sviluppo di questo enzima per spingerlo verso la massima funzionalità in vista di un suo impiego nelle strutture di smaltimento.
La prassi di oggi per il PET è il riciclo, ma finora non è stato possibile depolimerizzarlo. I derivati del riciclo, infatti, sono plastiche di qualità inferiore che a loro volta non possono essere smaltite, e questo ha fatto si che a un certo numero di ricicli sia diventato più economico l'abbandono in discarica o l'incenerimento. Il riciclaggio totale consisterebbe nel ritorno del composto agli elementi di origine, e l’enzima mutante ha incredibilmente impiegato pochi giorni per abbattere la plastica, così che i ricercatori sono sicuri di poter accelerare vieppiù l’abilità del batterio modificando la sostanza capace di far tornare il polietilene al livello molecolare di base, lo stadio di quando si produce plastica partendo dal petrolio. In questo modo il re-utilizzo, inteso come la successiva immissione del materiale in un nuovo ciclo di vita, sarebbe definitivo[5].