Aspettando il decreto nazionale sull'end of waste entriamo nel merito del tema
Se parliamo di end of waste parliamo di quel programma, per fortuna al giorno d'oggi sull'agenda internazionale, volto a ridurre progressivamente e, infine, ad eliminare qualsiasi spreco di materiale riutilizzabile che finisce per accumularsi nel nostro ambiente.
Guardando all'Italia stiamo parlando di 55 milioni di tonnellate di rifiuti, cifra che si alza a 165 milioni se consideriamo gli urbani, gli speciali e i pericolosi, pari al 33% di quanto complessivamente produciamo in Italia. Parliamo di prodotti assorbenti per la persona, di scarti edili provenienti dalle costruzioni o dalle demolizioni, di plastiche miste e carta da macero, così come di olii di frittura, gomma granulare, rifiuti da spazzamento, ceneri di altoforno e scorie di impianti di incenerimento e di fonderia che rimangono tuttora privi di decreti end of waste che abbrevierebbero il loro processo di riciclo diminuendo il loro conferimento in discarica o nei vari impianti di trattamento. E' quanto denuncia Legambiente durante il suo convegno La corsa ad ostacoli dell'economia circolare in Italia, svoltosi a Roma pochi giorni fa e largamente partecipato da parte di parlamentari, imprenditori e anche dallo stesso Ministro dell'Ambiente Sergio Costa.
Centrali del dibattito sono stati i temi del riciclo, del riuso, del recupero dei rifiuti, che inseriti in una programmazione economica circolare porterebbero alla drastica riduzione di sprechi e di emissioni oltre che, naturalmente, ad un aumento dell'occupazione per la nascita di un nuovo settore.
Legambiente ha così avanzato al Governo e al Parlamento dieci proposte focalizzate sulla rimozione di tutti quegli ostacoli presenti nella normativa vigente che ne causano l'effettiva falsa partenza, impedendoci in tal misura di usufruire dei benefit che la trasformazione dei rifiuti da problema a risorsa apporta al nostro ambiente e alla nostra economia.
Ad intervenire è stato Stefano Ciafani, presidente dell'associazione, che ha dichiarato come "il primo passo da fare [sia] approvare al più presto i decreti end of waste. Il riciclo dei rifiuti va semplificato al massimo altrimenti il rischio di dover aumentare i rifiuti di origine domestica o produttiva in discarica, al recupero energetico o all’estero diventa sempre più concreto. È urgente anche che il Ministero dell’Ambiente con una task force costituita velocizzi l’iter di definizione e condivisione dei decreti end of waste, partendo dall’emanazione di una circolare per tutte le Regioni per confermare che la produzione del biometano da digestione anaerobica non ha nulla a che fare con la normativa end of waste".
E' poi intervenuto Giorgio Zampetti, direttore generale della stessa Legambiente, specificando come "per raggiungere però i nuovi target di riciclo dettati dalla normativa europea appena approvata [servano] gli impianti, a partire da quelli di digestione anaerobica e compostaggio per il trattamento della frazione organica. Ad oggi quelli che ci sono intercettano appena 3 milioni di tonnellate, meno della metà di quanto raccolto. Considerando che nei prossimi anni la raccolta differenziata dell’umido aumenterà ancora, soprattutto al centro sud, è evidente la carenza impiantistica a cui siamo di fronte, con una forte disparità tra nord, dove è concentrata la quasi totalità degli impianti, e il centro sud dove sono praticamente assenti. Senza considerare che questa rete impiantistica consentirebbe la produzione di biometano, da immettere in rete o destinare a carburante e compost di qualità. Per arrivare a rifiuti zero in discarica o negli inceneritori serve realizzare mille impianti di riciclo e riuso. Non c’è altra soluzione"[1].
Quello che si evince, quindi, è che nonostante l'appello di associazioni e imprese non ci sia da un punto di vista centralizzato una pianificazione tale da consentire a tutto il lavoro di cittadini e imprenditoria locale di essere ottimizzato e portato a compimento.
Basta prendere in considerazione quanto detto pochi giorni fa dal presidente di Unicircular Andrea Fluttero quando ha decretato che "il mondo delle imprese dell’economia circolare chiede alla politica che davvero crede nella transizione di non far chiudere le tante aziende che in questi anni hanno garantito il raggiungimento di molteplici risultati positivi in tema di riciclo".
Facendo un passo indietro, infatti, si può vedere come il Consiglio di Stato abbia sentenziato (n. 1229 del 28/02/2018) che spetta proprio allo Stato, e non alle Regioni, l'individuazione di tutti quei casi e condizioni in cui un materiale scartato può essere incluso nell'insieme di end of waste al termine del suo flusso di recupero. Nonostante sia passato praticamente un anno, però, la normativa italiana in materia stenta ancora a prendere vita, vanificando quindi ogni sforzo da parte di tutti quegli attori sociali che stanno investendo denaro e energie in questa visione.
"Se i decreti nazionali sono difficili nel frattempo non chiudiamo gli impianti che lavorano, è necessario dare flessibilità al sistema" ha continuato lo stesso Fluttero. Una posizione contrastante è stata quella adottata, però, dalla senatrice M5S Vilma Moronese, che si è detta contraria a soluzioni, seppur provvisorie, volte a delegare alle Regioni l'eventualità di autorizzare i siti che, caso per caso, vanno destinati alla trasformazione dei rifiuti in end of waste products. "Faccio presente che non solo ciò andrebbe contro quanto previsto dalle direttive europee, ma creerebbe una disparità regionale dando vita a un vero far west sui rifiuti. Demandando a regioni e province, potremmo ritrovarci che un rifiuto diventi un nuovo prodotto in una regione e resti invece rifiuto in un’altra, creando scompensi per la competitività delle aziende. Inoltre, come potrebbero regioni e province, che spesso sono in difficoltà nel dotarsi di un proprio piano regionale dei rifiuti, a far fronte a un onere tanto gravoso come quello del l’emanazione di regolamenti tanto complessi?" è stata la sua denuncia.
Un quesito legittimo, quindi, che pone ancora una volta la centralità del problema della totale assenza nazionale di una direttiva unificata in grado di guidare i singoli enti all'ottimizzazione dell'intera gestione nazionale.
L'imprenditoria del settore ha infatti risposto, attraverso le parole di Fluttero, dichiarando come "anche il mondo delle imprese del riciclo vorrebbe regole end of waste non solo nazionali, ma meglio ancora europee per evidenti motivi di concorrenza e di mercato. Purtroppo però, la realtà dei fatti ci dice che ad oggi a livello europeo sono stati emanati solo tre regolamenti end of waste, solamente due decreti a livello nazionale, mentre ne servirebbero decine e comunque resterebbe scoperta tutta l’area dell’eco-innovazione. Dalla sentenza del Consiglio di Stato è passato un anno e siamo praticamente allo stesso punto, a dimostrazione della complessità della materia. Nel pacchetto di Direttive europee sull’economia circolare per l’end of waste sono previste tutte e tre le opzioni, ossia criteri nazionali, criteri europei (ove necessari) e il sistema caso per caso, ossia quello deciso nell’ambito delle autorizzazioni ai singoli impianti, rilasciate dagli organi competenti in base all’ordinamento dello Stato. Questi ultimi, nell’ordinamento nazionale, sono appunto le Regioni".
Si sente fortemente il bisogno di una presa di posizione da parte dello Stato che, essendo l'unico Ente che in grado di prendere in mano le redini di questo cambiamento di sistema, guidi tutti i suoi corpi periferici e le relative reti d'impresa verso una sopravvivenza e un'affermazione territoriale in grado di assicurare ai nostri territori la sufficiente qualità di vita.
Per concludere con le parole di Fluttero, quindi, è opportuno che "la politica che davvero crede nella transizione verso questo modello economico" non faccia chiudere "le tante imprese che in questi anni hanno garantito il raggiungimento di molteplici risultati positivi in tema di riciclo", permettendo alle Regioni di continuare a "rinnovare le autorizzazioni a produrre end of waste, che mano a mano vanno in scadenza", e allo stesso tempo autorizzi "impianti innovativi, che diversamente emigrerebbero all'estero, con perdite per la nostra nazione sotto ogni profilo"[2].