La bonifica del territorio è indispensabile, le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti
La sicurezza ambientale, solitamente perseguita attraverso un'attenta e meticolosa bonifica del territorio, è messa a dura prova dalla mancanza di una regolamentazione e sorveglianza univoca che dalle Istituzioni ricada su tutto il nostro Paese, con le conseguenze che, oggi, cominciano ad essere sotto gli occhi di tutti.
Non è soltanto una carenza strutturale a monte del processo che fa sì che sempre più amministrazioni cadano nelle mani di organizzazioni ecomafiose, ma interviene qui anche una grave assenza delle stesse Istituzioni nel dirigere e sorvegliare gli interventi di recupero.
Non è un caso, quindi, che dell'inquinamento dei terreni e delle falde dei 1.469 ettari di costa attorno alla città di Crotone, riscontrato nel 2002 attraverso un rilevamento di piombo, zinco, rame, cadmio, arsenico, idrocarburi, ferro, mercurio, nitrati e benzene, non ne sia stato fatto nulla dopo 16 anni di commissariamenti (9) e 121 milioni di euro stanziati.
E' un'emergenza questa che non rimane isolata nel triste scenario dello Stivale. Infatti, sono quasi 12.500 i casi riscontrati dall'Ispra in cui sono stati rinvenuti siti contaminati (3.733 soltanto in Lombardia, fanalino di coda d'Italia), 58 dei quali denuncianti un inquinamento talmente grave da far scattare il rischio sanitario, e di conseguenza etichettati come Siti di Interesse Nazionale (SIN). Ci riferiamo in questo caso a luoghi nei quali, a partire dal 1998, non solo non si è mantenuta la promessa di una bonifica, ma non vi è stata mai una definitiva e dettagliata analisi della contaminazione. Si tratta di siti industriali dismessi e in attività, che spesso in passato si sono resi protagonisti di incidenti che hanno causato la dispersione di inquinanti chimici, o nei quali suoli sono stati accatastati o sotterrati rifiuti pericolosi.
Quello che si manifesta, in questo caso, è una totale paralisi degli organi decisionali, che fa sì che le iniziali volontà d’intervento si perdano troppo sovente in degli allungamenti burocratici o imprevisti politici tali da rimandare continuamente quella che a tutti gli effetti è un'opera indispensabile alla salute dell'ambiente e dei cittadini.
Quella che inizialmente sarebbe dovuta essere un'opera statale, infatti, è diventata a partire dal 2012 di competenza delle singole Regioni, il tutto fino alla dichiarazione di qualche mese fa da parte del Ministro dell'Ambiente Sergio Costa in cui proponeva l'adozione di "un fondo unico ambientale per sostenere le bonifiche". Già il suo predecessore Gian Luca Galletti, lo scorso anno, aveva parlato di circa 2 miliardi di euro messi a disposizione "dal mio Ministero a favore delle Regioni, dei Commissari delegati e delle Province Autonome di Trento e Bolzano".
Per un conto complessivo che, oggi, ammonta a 3.148.685.458 euro. E' chiaro, quindi, come la Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo di rifiuti possa scrivere come "emerga l'estrema lentezza, se non la stasi, delle procedure attinenti alla bonifica dei Sin".
In Veneto, ad esempio, i 781 milioni di euro stanziati sono riusciti a coprire soltanto il 15% dei terreni da bonificare e l'11% della falda di Porto Marghera. Se consideriamo Napoli Orientale con il suo Sin, in grado di accogliere quasi tutti gli impianti di smistamento e stoccaggio di gas e prodotti petroliferi della città, la bonifica ha riguardato soltanto il 6% dei terreni e il 3% della falda. Nella zona occidentale, ex Ilva, Eternit, discarica Italsider, si trovano tuttora 242 ettari di terreno inquinato da metalli, fenoli, amianto e ipa, che hanno reso vani i 10 milioni di fondi stanziati dal Ministero dell'Ambiente non avendo portato a nessuna bonifica territoriale. Analoga è la situazione in Basilicata, dove sono state portate a compimento soltanto il 4% delle bonifiche dell'area di Tito. Stessa percentuale per la Sardegna, nonostante uno stanziamento di 77 milioni di euro e altri 20 già investiti nei siti industriali di Sulcis-Iglesiente-Guspinese. "La maggior parte delle risorse sono in fase di progettazione, poi a causa della complessità delle opere e dell’aggiornamento della normativa sugli appalti, il grosso degli interventi deve essere ancora cantierato", è stata la dichiarazione da parte della Regione.
Ovunque ci si sposti il copione sembra purtroppo sempre lo stesso: lo stanziamento dei fondi risulta insufficiente a causa del rallentamento delle valutazioni e dei lavori, e il tutto finisce sempre in un nulla di fatto capace di generare soltanto altri disagi e sperpero di denaro.
E' sintomatico, infatti, che si contino zero bonifiche sia che si parli di Sicilia, di Piemonte, Toscana, Friuli o Lombardia. In Sicilia, nello specifico, i siti contaminati si contano da Priolo (Siracusa) a Biancavilla (Catania) passando per Gela (Caltanissetta), per un totale di nessun intervento per 3 milioni di euro. Anche al Nord si vive la stessa situazione, dove le zone industriali di Trento
e le falde e i terreni dell'area della Caffaro di Torviscosa in Friuli, inquinati dallo sversamento di metalli pesanti, hanno causato lo sperpero rispettivamente di 19 e di 35 milioni di euro. Sono stati 20 i milioni stanziati per i Sin di Orbetello e Livorno in Toscana, persi allo stesso modo dei 51 impiegati, in Piemonte, per le aree di Balangero, Pieve Vergonte e Serravalle Scrivia.
La Regione che più paga questa cattiva gestione delle bonifiche del suo territorio è però la Lombardia, che conta cinque aree inserite tra le priorità di bonifica a causa della presenza di idrocarburi, metalli pesanti, PCB. Qui i lavori sono attesi da circa 18 anni, per un totale di 200 milioni di euro di investimento perduto.
Uno dei problemi maggiori consiste nel fatto che spesso la causa dell'inquinamento è così retrodatata che, a livello giuridico, rimane impossibile far pagare ai colpevoli la sanificazione del sito.
Altrettanto preoccupante è il margine di manovra che questa mancanza di interventi concede alle organizzazioni criminali. Basti considerare che dal 2002 a oggi ci sono state 19 indagini capaci di smascherare una quantità enorme di smaltimenti illegali di rifiuti illegalmente smaltiti dai siti inquinanti, che hanno portato all'emissione di 150 ordinanze di custodia cautelare, 550 denunce e più di cento aziende coinvolte.
Lo Stato continua così a permettere l'infiltrazione della criminalità organizzata quando dalla bonifica del proprio territorio potrebbe guadagnare, invece, un'ingente fetta delle proprie entrate. Sia nel 2008 che ancora nel 2016 Confindustria ha infatti stimato per questo settore un fabbisogno di 10 miliardi di euro, 200.000 posti di lavoro in più generati e un aumento di produzione di oltre 20 miliardi di euro, 5 dei quali direttamente nelle casse dello Stato sotto forma di imposte e contributi sociali[1].