La gestione dei rifiuti in Italia: bisogna fare meglio
Nonostante in Italia siamo a buon punto su molti aspetti delle direttive europee per la gestione dei rifiuti, quale ad esempio quello inerente la raccolta differenziata che ci vede tra i più virtuosi, bisogna ancora fare meglio su tante fasi del processo.
Secondo la World Bank che ha presentato recenti stime, infatti, la produzione annuale su scala globale è destinata ad aumentare di circa un miliardo e mezzo di tonnellate di rifiuti entro la metà del secolo. Dall'Europa arriva quindi un monito, che ci ragguaglia sul fatto che nonostante la gestione di questo flusso sia nettamente migliorata, "lo status quo non è un'opzione [e] occorre fare di più".
E' così che la Commissione Europea ha pubblicato in data 24 settembre l'ultima revisione in merito alle norme comunitarie in materia di gestione dei rifiuti da parte dei Paesi membri. All'interno di questo documento vengono sottolineate alcune deficienze dei sistemi nazionali, le cui tempistiche richiedono un intervento celere se non addirittura emergenziale.
In particolare per quanto riguarda i rifiuti urbani, dalla stima si evince come 14 Stati correrebbero il rischio di mancare l'obiettivo fissato per il 2020, e cioè di aumentare del 50% il tasso di riciclo. Sono la Bulgaria, la Croazia, Cipro, l'Estonia, la Finlandia, la Grecia, l'Ungheria, la Lettonia, Malta, la Polonia, il Portogallo, la Romania, la Slovacchia e anche la Spagna. Per questo motivo Bruxelles riferisce che "questi paesi devono fare di più perché le loro popolazioni e le loro economie possano beneficiare dell’economia circolare".
La stessa direttiva europea è stata rimodellata all'interno del pacchetto Economia Circolare con lo scopo di includere obiettivi rinnovati e ambiziosi nei riguardi del municipal waste, tale per cui entro il 2025 questa quota dovrà raggiungere il 55%, per salire al 60% entro il 2030 e il 65% nel 2035.
Per quanto riguarda alcuni settori, quali ad esempio il comparto delle costruzioni e delle demolizioni, è ancora più urgente l'allineamento in quanto il quadro europeo stabilisce un target 2020 del 70% di predisposizione al recupero, riciclo e riutilizzo dei materiali.
La metà degli Stati membri afferma di rientrare nell'obiettivo stabilito per il 2020 già dal biennio 2013-2015, tuttavia la Svezia, la Grecia, Cipro e la Slovacchia rimangono sotto la soglia del 60%. Per quanto riguarda i RAEE (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche), invece, i meno virtuosi risultano la Lettonia, Malta, la Romania e Cipro.
“Con le norme UE in materia di rifiuti adottate di recente dal Parlamento europeo e dal Consiglio dei ministri, l’Europa può diventare il leader globale per la moderna gestione dei rifiuti e sviluppare ulteriormente la propria circular economy. Esistono ancora differenze in tutta Europa, ma sono possibili progressi attuando a livello nazionale e locale alcune azioni identificate nella relazione” ha dichiarato Karmenu Vella, commissario per l'ambiente, gli affari marittimi e la pesca[1].
In Italia, come anticipavo, siamo tra i capofila europei per quanto riguarda la raccolta differenziata, con una media percentuale statale che è praticamente il doppio di quella del resto di Europa, ma un forte deficit istituzionale è rappresentato dalla mancanza di programmazione che, a partire dallo Stato, dovrebbero coinvolgere pian piano tutte le Amministrazioni, le imprese virtuose e la cittadinanza attiva.
Questo comporta una serie di problemi sui vari territori, di cui naturalmente a farne le spese sono soprattutto i cittadini e l'ambiente.
La bocciatura dello Sblocca Italia, e del conseguente progetto di realizzare otto nuovi inceneritori lungo lo stivale, ha infatti complicato di molto la situazione di gestione di rifiuti, dove l'incremento della raccolta differenziata e, di conseguenza, del materiale da gestire, mischiato alla carenza degli impianti e alla chiusura delle frontiere cinesi ha portato, tra le altre cose, al moltiplicarsi dei roghi nei siti che trattano e stoccano i rifiuti. In mancanza di un piano mirato da parte delle Amministrazioni, quindi, spesso si ricorre a situazioni malavitose che si traducono in traffici illeciti e incendi.
Da una parte cresce quindi la quantità da gestire, dall'altra diminuiscono repentinamente le destinazioni dove gestirla. Dopo un lieve calo nel 2015, infatti, la spazzatura urbana è continuata ad aumentare fino a superare nel 2016 la soglia delle 30 milioni di tonnellate, cifra record del 2011. A questi volumi vanno poi aggiunti gli scarti speciali industriali, che hanno avuto un incremento di quasi 10 tonnellate annue dal 2013 al 2015.
In tutto ciò di quello che viene differenziato dai cittadini una bella fetta non può essere riciclata, oltre al fatto che sono decisamente aumentati gli imballaggi in plastica destinati a un secondo ciclo di consumo. Le confezioni piccole quali i contenitori monouso, le vaschette e gli imballi multistrato, rappresentano tutti quei rifiuti che, ad oggi, possono soltanto essere bruciati o sepolti nelle discariche. Una percentuale di questi polimeri misti, tecnicamente denominati plasmix, potrebbe essere riutilizzato per il settore automobilistico o per arredi da esterno, ma i siti addetti al loro riciclaggio continuano ad essere oggi veramente pochi, poiché non sufficientemente convenienti da un punto di vista economico. C'è addirittura una misura dell'ultima legge di stabilità che incentiva chi acquista prodotti in plastiche miste riciclate, ma per questo i risultati potranno conteggiarsi soltanto nel lungo periodo. Nel frattempo la legge che impone alle pubbliche amministrazioni l'acquisto di materiale rigenerato sembra insufficiente, dal momento che non prevede sanzioni per chi non rispetta i canoni.
Un altro punto del discorso si annovera sulla politica di riduzione degli sprechi, richiesta dall'Unione Europea ma non ancora applicata in una strategia nazionale efficace. La stessa carta, negli ultimi anni riciclata un terzo della plastica, è finita per ingrossare i carichi spediti nel Sud Est asiatico. I rifiuti indifferenziati urbani, così come quelli speciali e gli scarti della differenziata, devono però essere smaltiti. E così gli inceneritori italiani sono saturi e hanno, conseguentemente, alzato i prezzi, anche per gli aumentati costi per l’invio a recupero o smaltimento dei residui della combustione, il che rende per le Amministrazioni obbligatorio rivolgersi agli impianti Europei, con la conseguenza che la gestione lievita, aumentano i tempi di stoccaggio, il rischio di incendi, e inoltre le bollette del servizio lievitano.
A seguito del blocco cinese, e delle conseguenti direttive dell'Unione Europea, l'Italia non si è attrezzata per inserire gli impianti della filiera del riciclo tra gli strumenti strategici e di preminente interesse nazionale, come invece è stato fatto per gli inceneritori nel 2014. L'unica mossa eseguita in questa direzione, è stata l'introduzione dei sacchetti alimentari biodegradabili. Decisamente poco per affrontare un'emergenza nazionale.
“Il rifiuto meno lo tocchi più guadagni. Per questo tante volte arriva il benedetto fuoco. Quello che brucia va in fumo e il fumo non si tocca più”, erano state le parole del magistrato della Dna Roberto Pennisi sul tema degli incendi dolosi nelle discariche.
Dove le Istituzioni e le sue leggi non riesce ad arrivare, infatti, si sviluppa una infinita possibilità di germogliare di tutte quelle organizzazioni illecite che abbattono i tempi e i costi di gestione, aumentando però a dismisura l'impatto sull'ambiente e sulla salvaguardia della salute pubblica.
La relazione della commissione bicamerale Ecomafie sugli incendi, che ha visto la luce nel gennaio del 2018, contava 261 roghi in impianti di gestione dei rifiuti soltanto tra il 2014 e l'estate del 2017. Addirittura l'ex deputata M5S e Verdi Claudia Mannino, che da qualche tempo fa luce sul fenomeno, afferma che negli ultimi undici mesi ce ne siano stati uno ogni due giorni, ben 149.
In tutto questo il Ministero dell'Ambiente si è limitato a inviare una circolare ai Vigili del fuoco, a Ispra e alle Forze dell'Ordine, contenente le linee guida per la gestione operativa degli stoccaggi negli impianti di gestione dei rifiuti e per la prevenzione dei rischi. Mancano quindi ancora i decreti per facilitare il recupero dei materiali, mentre le Regioni continuano a non organizzarsi internamente per instaurare, si spera definitivamente, quel flusso processuale di gestione dei rifiuti che non graverebbe sul territorio[2].