L'utilizzo dei fanghi industriali in agricoltura come strumento di ri-fertilizzazione dei territori
Perfettamente inserito nelle dinamiche di economia circolare e di recupero degli scarti, l'utilizzo dei fanghi da depurazione in agricoltura ovvierebbe anche un altro rischio che si sta seriamente confermando sul nostro Paese.
Uno dei maggiori problemi ecologici italiani, infatti, risiede nel pericolo di desertificazione del territorio, che ha già raggiunto secondo una stima del Cnr una percentuale del 41% di potenziali aree a rischio.
Il timore delle istituzioni e della popolazione, però, è che questi siano prodotti con criteri non a norma e finiscano conseguentemente ad inquinare il terreno e le coltivazioni che ne derivano. La Normativa nazionale, infatti, ha delegato alle Regioni la legiferazione a riguardo, e così molte di queste hanno deciso di applicare norme più restrittive.
La Lombardia, ad esempio, già dal 2013 ha delegato alle Province le funzioni amministrative relative al rilascio delle autorizzazioni degli impianti. Ha fissato un'asticella limite per idrocarburi totali, solventi, tensioattivi e pesticidi, per giungere ad una normativa in cui vengono introdotti limiti anche per Ipa (idrocarburi policiclici aromatici a base di benzene), Pcb, diossine e furani[1].
La stessa Regione ha poi emesso la Dgr 7076 del 11/9/2017 di integrazione della normativa regionale sui fanghi introducendo il limite di 10.000 mg/kg di sostanza secca per gli idrocarburi pesanti, oltre che ulteriori limiti riguardo le sostanze sopracitate. Livelli che sono stati decisi con la consulenza specifica di Arpa, che continuamente effettua test sulle sostanze inquinanti.
Un altro punto critico riguarda l'emanazione di sgradevoli odori che questa tecnica di smaltimento comporta. "Gli odori si sentono, intendiamoci, ma la Regione Lombardia ha [...] disciplinato ulteriormente sulle modalità di spandimento dove era già stata resa obbligatorio l'interramento immediato. E questo ha ridotto di molto i miasmi. Bisognerà comunque lavorare ancora di più su questo aspetto. In realtà le segnalazioni dei cittadini spesso riguardano altre sostanze usate come fertilizzante, che non rientrando nella disciplina dei rifiuti e pertanto non sono regolati dalle suddette normative e non hanno l’obbligo di aratura immediata" ha chiarito Ilaria Vecchio, responsabile unità operativa rifiuti della Provincia di Pavia[2].
Andando ad esaminare i risultati, Marco Romani, responsabile di agronomia e difesa della coltura al Centro Ricerche sul Riso (Ente Risi) afferma che "dal punto di vista agronomico i risultati ci sono sia a livello produttivo sia per le caratteristiche chimico-fisiche dei terreni che sono migliorate. Li abbiamo testati per dodici anni e le medie degli ultimi sei anni sono 10/15% in più rispetto alla concimazione minerale. L’opzione fango più minerali è stata la più performante, ma anche il fango da solo ha raggiunto dopo dieci anni di applicazioni livelli comparabili con una concimazione di minerali".
Questa della riconversione in fanghi agricoli sembra, quindi, essere la migliore opzione per abbattere gli sprechi e soprattutto per aumentare la produttività agricola del nostro Paese, che come ho già scritto si trova particolarmente a rischio.
Sembrano però essersene definitivamente accorte anche le istituzioni, come si può notare dal rapporto Ispra che, ad esempio, ha verificato in Italia nel 2016 la produzione di circa 3,2 milioni di tonnellate di fanghi generati dal trattamento acque reflue urbane, con un incremento del +3,7% rispetto all'anno precedente. Hanno registrato un aumento soprattutto i fanghi prodotti dai depuratori in Puglia, Emilia Romagna e Campania, e la Regione Lombardia e l’Emilia Romagna, con rispettivamente più di 452mila e 431mila tonnellate, sono le realtà con il maggiore quantitativo prodotto, cui fanno seguito il Veneto e il Lazio[3].