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18 agosto, 2018

I fanghi biologici, un'opportunità non sfruttata

Durante la mia carriera nel gruppo Green Holding ho avuto la fortuna di gestire Bioagritalia, l'impianto di trattamento e utilizzo dei fanghi biologici industriali e civili nei processi agricoli. Un sito di 8.000 m2 nel comune di Corte di Frati (CR) capace di stoccare, trattare e condizionare un quantitativo di 20.500 tonnellate annue di rifiuti.[1]

Una volta che ne viene accertata la qualità, conformemente alle normative nazionali e regionali, la migliore destinazione per questi fanghi è quella dell'impiego agricolo nella coltivazione quale ammendante e fertilizzante.

Sia che si parli in termini di agricoltura che di economia circolare, infatti, risulta una pratica estremamente efficace in grado di sostituirsi alla concimazione chimica o biologica in grado di evitare forme di smaltimento più impattanti sull’ambiente quale il collocamento in discarica.

Tutto questo nel pieno rispetto della normativa, rappresentata dal D.Lgs.27 gennaio 1992 n. 99 "Attuazione della direttiva 86/271/CEE, dove si afferma che per trovare utilizzo in agricoltura i fanghi devono essere stati sottoposti a trattamento di stabilizzazione per contenere o eliminare i possibili rischi igienico sanitari. Devono inoltre essere idonei a produrre un effetto concimante o correttivo del terreno e non devono contenere sostanze tossiche e nocive, dannose per il terreno, per le colture, per gli animali, per l'uomo e per l'ambiente in generale.[2]

Penso che ci siano poche pratiche che possano essere inserite nell'insieme dell'economia circolare come il loro riutilizzo nei campi di coltivazione, essendo questi ultimi ricchi di sostanze quali carbonio organico, azoto, fosforo e potassio, indispensabili alla fertilità vegetale

Il recupero dei fanghi risulta particolarmente favorevole proprio nella pianura padana, che ha un terreno notoriamente povero di sostanze organiche a causa dell’agricoltura intensiva che ne ha provocato un progressivo impoverimento.

Analizzando i dati, possiamo purtroppo osservare come il recupero in agricoltura corrisponde soltanto al 58,9% del trattato, a fronte del 41,1% che viene smaltito in discarica e/o impianti di termovalorizzazione. Questa è una cifra ancora distante da altri paesi in questo campo più virtuosi, come ad esempio la Francia che ha una percentuale di recupero superiore al 70%, o la Gran Bretagna dove l’uso dei fanghi in agricoltura è nettamente la via più percorsa (80,3% nel 2010/2011)[3]

Diventa a questo punto importante il saper dimostrare che utilizzare una certa quantità, e soprattutto qualità, di fanghi nei campi di coltivazione ha un senso preciso. E anzi contribuisce non poco al problema del loro smistamento, dal momento che i fanghi "buoni" se non vengono destinati ai campi devono necessariamente trovare un'altra collocazione.

Le alternative attuali al riutilizzo agricolo sono in minima parte la discarica (nuove normative europee hanno fissato limiti stringenti per quanto riguarda la sostanza organica ed il tenore di sostanza secca dei rifiuti conferibili, limiti che molto difficilmente vengono rispettati dalla maggioranza dei fanghi prodotti negli impianti di depurazione delle acque reflue urbane), gli impianti di compostaggio (che tuttavia per motivi tecnico-gestionali non gradiscono questa matrice) o gli impianti di incenerimento (anche in questo caso per motivi tecnici legati anche all’elevato contenuto di acqua nei fanghi questi materiali non sono ben graditi senza tener conto del fatto che allo stato attuale gli impianti di termovalorizzazione in Italia risultano già saturi).

Quello che risulta necessario è una maggiore presa di consapevolezza da parte della popolazione nei confronti di quanto siamo in grado di ridurre l'impatto economico e soprattutto ambientale, evitando che queste sostanze si vadano ad accumulare nella fila di rifiuti da smaltire nelle discariche o nei termovalorizzatori.

Marco Sperandio